C’era un paese che si reggeva sull’illecito…
Non illudetevi! Non stiamo per narrare una favola.
Non mettetevi troppo comodi, cullati dal rassicurante portato verbale al passato.
Quello che stiamo per raccontare è una verità: una realtà che è stata e che è.
Quando Italo Calvino pubblicò, il 15 marzo del 1980, il suo Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti, introdotto da un’incipit dall’ingannevole sapore fiabesco, il vaso di Pandora non era ancora stato aperto: ci sarebbero voluti dodici anni per decidersi a scoperchiare il «paese dei corrotti». Eppure l’amaro sfogo letterario anticipava la penosa cognizione di uno stato di fatto viziato dall’illecito, strappando le cortine di strumentale connivenza che nascondevano una rete di tangenti tessuta a vantaggio di una struttura socio-politica bisognosa di «mezzi finanziari smisurati».
«C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti».

 

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