Investire nella formazione aziendale è fondamentale. Significa rendere un’azienda competitiva e pronta ad affrontare le sfide del futuro. Un futuro che sembra puntare sempre più sulla digitalizzazione e su nuovi servizi e prodotti che richiedono, di conseguenza, diverse figure professionali rispetto a quelle del passato.

E chi lavora nel settore della formazione può indicare la strada da seguire. Ne parliamo con l’ingegner Secondo Martino, uno dei leader del settore attraverso Globalform e NetworkGtc.

Investire sulle persone – spiega Martino – non è un costo, ma un ricavo. Un’azienda che forma i propri lavoratori poi avrà al suo interno le risorse giuste per affrontare il mercato ed essere competitivo. Per capirlo basta guardare alle statistiche degli Stati Uniti che dedicano moltissimi studi ed indagini all’importanza della formazione. Se investi 100 poi ne ricavi 100mila”.

Un discorso che fino a poco tempo fa in Europa non era compreso a pieno

Ora anche l’Unione Europea ha deciso di puntare sulla formazione. Ci sono fondi dedicati che agevolano gli imprenditori. Anche la Ue ha capito che investire nella formazione significa diminuire la disoccupazione”.

Ma in Italia c’è un settore che necessiterebbe di formazione ed invece è in arretrato?

Certo. Gli enti locali. I Comuni in particolar modo. Si sta tentando di accelerare sulla digitalizzazione ma se i dipendenti non sono formati davvero come si possono offrire servizi del genere ai cittadini? Un esempio lampante è la richiesta di certificati anagrafici. All’estero basta collegarsi in remoto ed in pochi minuti si ottiene tutto. Qui siamo ancora alle code agli sportelli. Oppure si può pensare all’attuale pandemia. Se si fossero formate le persone in molti casi si sarebbe evitata l’ospedalizzazione. Anche i semplici cittadini sarebbero stati in grado di seguire protocolli da casa. Negli Stati uniti, ad esempio, si fa formazione anche sul cibo e da quando è cominciato questo percorso sono diminuiti i casi di patologie legate a consumi sbagliati o esagerati”.

Ma qual è il gap italiano?

L’Italia ha perso molto negli ultimi anni. Negli anni 60 e 70 era all’avanguardia nella ricerca e nello studio. Oggi invece non c’è più il necessario collegamento tra le figure ricercate dal mercato e la formazione scolastica. I lavori di una volta non esistono più, non servono più. Ora le aziende cercano Lead auditor, Risk manager, Social manager, Hse manager, Dpo… Insomma chi lavora sui dati. E’ necessario controllare i processi sia di formazione scolastica che nelle aziende. Oggi la filosofia non è più richiesta, occorre l’inglese. Il covid ha messo in luce anche molte lavori possono essere svolti da remoto. Ma quanti sono in grado di farlo? L’innovazione va seguita, accompagnata dalla formazione”.