Mismatch: quando le cose non si incontrano

Nell’accezione più comune in Italia, match è una partita di calcio o di qualsiasi altro sport preveda lo scontro di due avversari. Lo si usa anche in riferimento alle app di incontri: se hai fatto match significa che hai trovato una reciproca percezione di affinità.

“To match”, termine di origine anglosassone, significa infatti corrispondere, abbinare. Ne consegue che il correlato termine “mismatch” indichi, al contrario, una mancata corrispondenza tra due elementi.

Dunque, cosa si intende per mismatch quando si parla di lavoro?

Quali sono gli elementi e in cosa consiste la mancata corrispondenza?

Il mismatch lavoro ha a che fare con la disoccupazione ma non si limita al tasso, più o meno elevato che sia. La vera criticità sta nell’incongruenza tra la domanda di lavoro da parte delle imprese e l’offerta di lavoro da parte dei lavoratori: le imprese cercano personale e le persone cercano lavoro. Ma allora perché le due cose non si incontrano?

Il mismatch è un dato evidente e quantificabile ma individuarne le cause e, di conseguenza, le soluzioni, è tutt’altro che semplice.

Un’indagine RIL (Rilevazione Imprese Lavoro) condotta dall’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) evidenzia come il 37% delle aziende cerchi lavoratori specializzati, portando alla luca una carenza di profili qualificati e con specifiche competenze.

Questo è in gran parte riconducibile al basso livello d’istruzione della popolazione italiana: solo il 18% degli italiani ha un’istruzione terziaria, ossia possiede un titolo universitario. È evidente, quindi, la necessità di investire maggiormente nella formazione, sia scolastica che professionale, per colmare questo gap e fornire ai lavoratori le competenze richieste dalle aziende.

Esempio di una soluzione al Mismatch lavoro

Per il raggiungimento dei suoi obiettivi, il Programma GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori) adotta un approccio strategico che si propone di aumentare l’occupabilità dei lavoratori, riducendo il mismatch tra domanda e offerta di lavoro attraverso la definizione di percorsi formativi personalizzati in base alle esigenze delle aziende e alle competenze dei lavoratori di uno specifico territorio.

Il Programma GOL, finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, infatti si basa su indagini territoriali sul bisogno delle aziende in termini di figure professionali e competenze. Le Regioni poi individuano i percorsi formativi necessari per colmare il divario tra le competenze richieste dalle aziende e quelle possedute dai lavoratori.

Questo comporta per le aziende più possibilità di trovare i lavoratori con le competenze desiderate, per i lavoratori un aumento delle opportunità di inserimento o reinserimento lavorativo, e per l’intero Paese una riduzione del mismatch lavoro.

Il programma GOL è solo un esempio di soluzione al problema del mismatch. Tuttavia, rappresenta un passo importante nella direzione di un mercato del lavoro più efficiente e inclusivo.

Ma sono le competenze l’unica causa del divario?

Millennial e Gen Z costituiscono ormai una fetta consistente dei lavoratori, per cui i loro comportamenti influiscono nettamente sullo stato produttivo ed economico del Paese.

Recenti studi, infatti, si sono concentrati sulle nuove generazioni e il loro ingresso nel mondo del lavoro.

Lavorare per vivere, non il contrario

Quello che è emerso è che le nuove generazioni, spesso etichettate come pigre e con poca voglia di lavorare, si impegnano tanto quanto i loro colleghi senior, semplicemente con attitudine e obiettivi diversi.

Per i millennial, il lavoro non è solo un compito da svolgere per guadagnarsi da vivere, ma un’opportunità continua di apprendimento e crescita personale. Questa fame di conoscenza si traduce in una ricerca costante di ambienti lavorativi che stimolino il loro interesse e li ispiri al miglioramento.

In un mondo dove il work-life balance è un mantra sempre più diffuso, i millennial sono in prima linea. Non vale la pena sacrificare la vita personale per il lavoro.

In quest’ottica, la flessibilità negli orari, la possibilità di condurre un lavoro ibrido e la qualità del tempo trascorso in ufficio, piuttosto che la quantità di ore, sono elementi fondamentali per un ambiente lavorativo ideale.

Ma non è solo una questione di comodità personale. Queste “pretese” nascono sulla convinzione (di cui vi sono anche evidenze empiriche) che quelle condizioni migliorino la produttività dei lavoratori e delle organizzazioni stesse.

I millennial, guidati da un profondo senso di etica e responsabilità sociale, credono che le organizzazioni debbano non solo perseguire il profitto, ma anche contribuire al miglioramento della società negli aspetti ambientali, sociali e culturali. Questo si traduce nell’aspirazione a raggiungere obiettivi significativi che vadano oltre il mero scopo di produrre.

I giovani lavoratori esprimono la loro opinione molto più liberamente delle generazioni precedenti perché non vedono in questo un atto di insubordinazione ma la possibilità di un dialogo e evoluzione. Inoltre, temono molto meno le figure autoritarie perché non credono nel potere delle gerarchie.

Tutto ciò non deve gettare ombra, più di quanto non si faccia già, su una triste realtà. La realtà economica, con stipendi spesso bassi, contratti di lavoro fittizi e diritti del lavoro non tutelati, rappresenta una sfida significativa per i millennial, a livello pratico ma anche psicologico, alimentando una grossa sfiducia nel futuro.

Mismatch lavoro: ricambio generazionale e trasformazioni radicali

Le nuove generazioni stanno ridefinendo ciò che significa davvero “fare carriera”. Non si tratta solo di scalare gerarchie o accumulare ricchezze materiali, ma di trovare un equilibrio tra realizzazione personale, contributo sociale e benessere individuale.

In questo contesto, fattori come interessi, percorso di studi, attitudini, luogo di lavoro e conciliazione tra lavoro e vita assumono un’importanza sempre maggiore. La complessità di questi aspetti qualitativi rende difficile individuare una soluzione unica al problema del mismatch, che richiede invece un approccio multidimensionale e uno stravolgimento culturale.

Il lavoro occupa gran parte del nostro tempo, è spesso fonte di preoccupazione e stress ma anche di gioia e soddisfazione. Pensandoci, non è poi così bizzarro che anche nella scelta di un lavoro si ricerchino delle affinità, proprio come avviene nella ricerca di un partner sentimentale. In quet’ottica, pensiamo al match con il lavoro meno come uno scontro tra avversari e più come un armonico incontro.

La complessità delle cause del mismatch del mondo del lavoro è tangibile. Il fenomeno non può essere ricondotto esclusivamente all’esigenza di competenze specifiche carenti.

Affrontare il problema del mismatch è una sfida complessa che richiede un impegno congiunto da parte di tutti gli attori del mercato del lavoro. Solo attraverso un sistema di istruzione e formazione adeguato, un’efficace rete di servizi per l’impiego e una cultura sana del lavoro più diffusa sarà possibile ridurre questo divario e creare un mercato del lavoro più efficiente e inclusivo.