SIGNIFICATO e NOZIONE DI SINDACATI MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVI E COMPARATIVAMENTE PIU’ RAPPRESENTATIVI

 In data 07/07/2016 è stato approvato il nuovo Accordo Stato Regioni sulla durata e contenuti minimi dei percorsi formativi per i responsabili e gli addetti dei servizi di prevenzione e protezione, ai sensi dell’art. 32 del D.Lgs. n.81/2008. L’accordo sostituisce quello precedente del 26/01/2006 ed interviene anche su questioni e tematiche diverse dalle semplici figure delle RSPP o ASPP.

E’ del tutto evidente come la necessità di procedere ad una integrale revisione dei contenuti del vecchio accordo Stato-Regioni del 26 gennaio 2006  sia dovuto anche dal quadro normativo in materia radicalmente mutato a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 81/08 e della successiva emanazione degli accordi o dei provvedimenti in tema di formazione previsti dal medesimo decreto (accordo formazione lavoratori ex art. 37, accordo formazione datori di lavoro ex art. 34, accordo formazione uso attrezzature ex art. 73, comma 5, definizione dei requisiti del formatore a cura della Commissione Consultiva permanente, recepito nel corrispondente decreto interministeriale 6 marzo 2013).

L’Accordo Stato Regioni, in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, tocca innumerevoli questioni tra cui, nel revisionare anche gli accordi del 21 dicembre 2011,ex artt. 34 e 37 D.Lgs. 81/08,la formazione in modalità e-learning: E a tal proposito precisa che i corsi in modalità e-learning sono da ritenersi validi solo se espressamente previsti dalle norme e con le modalità disciplinate dal presente accordo. Inoltre, in relazione a quanto previsto nell’art. 32, comma 1, lettere c) e d), del D.L. 69/13, nel testo di cui alla legge di conversione (legge 98/13), l’accordo reca la disciplina relativa al riconoscimento dei crediti formativi in caso di percorsi formativi i cui contenuti si sovrappongano, in tutto o in parte, tra loro. Infine, in attesa della completa attuazione ad opera delle Regioni delle disposizioni di cui al D.Lgs. 276/03 relative al “libretto formativo del cittadino”, l’Accordo individua anche un modello utile alla tenuta della documentazione relativa all’avvenuta formazione.

In effetti per quello che qui interessa l’Accordo interviene anche sulla individuazione del soggetti formatori, cioè dei soggetti legittimamente incaricati di erogare la formazione in materia di sicurezza.

Tra gli stessi vengono ricompresi, come del resto era già previsto nei precedenti Accordi, le Associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, limitatamente al settore specifico di riferimento, nonché gli Enti bilaterali e gli Organismi paritetici. Quindi non un sindacato, datoriale o di lavoratori, qualsiasi ma un sindacato individuato come  “comparativamente più rappresentativo sul piano nazionale”.

In una nota al testo posta viene specificato che tali soggetti possono effettuare le attività formative e di aggiornamento direttamente o avvalendosi di strutture formative di loro diretta ed esclusiva emanazione (prevalentemente o totalmente partecipate). Queste ultime strutture devono essere accreditate secondo i modelli definiti dalle Regioni e province autonome ai sensi dell’intesa 20 marzo 2008. Per la verità non sembra trattarsi di una rivoluzione ma semplicemente di una specificazione che era già presente nella lettera circolare del 01 giugno 2012, n. 10310 del MINISTERO del LAVORO E delle POLITICHE sociali con la quale facendo ad una precedente circolare indicava degli indici idonei ad individuare correttamente i contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente rappresentative a livello nazionale individuati soprattutto facendo ricorso al consolidato orientamento giurisprudenziale (numero complessivo delle imprese associate, numero complessivo dei lavoratori occupati, diffusione territoriale con numero di sedi presenti sul territorio ed ambiti settoriali, numero dei contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti).

Quindi per chiarire ulteriormente il punto 2 dell’Accordo esplicita chiaramente che sono soggetti formatori le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Per quanto riguarda gli organismi paritetici sono soggetti formatori limitatamente allo specifico settore di riferimento. Per quanto riguarda le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori e degli organismi paritetici viene confermato che possono effettuare le attività formative e di aggiornamento direttamente o avvalendosi di strutture formative di loro diretta ed esclusiva emanazione se  “accreditate”  nelle rispettive Regioni.

L’Accordo modifica il sistema di accreditamento abolendo la normativa precedente e recita che: “in tal caso detti soggetti (enti accreditati) devono comunque dimostrare di possedere esperienza biennale professionale maturata in ambito di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro o maturata nella formazione alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.

In effetti  gli enti accreditati alle Regioni dovevano possedere anche il requisito dell’esperienza per poter svolgere la formazione in materia di salute e sicurezza. La soppressione conferma come il semplice accreditamento costituisca di per sé titolo per svolgere attività di formazione.
Ma cosa significa effettuare le attività formative direttamente o avvalendosi di strutture formative di diretta ed esclusiva emanazione?

Se il concetto di agire in modo diretto è del tutto chiaro in quanto l’agire è in capo al soggetto legittimato a farlo senza alcun tipo di intermediazione, il concetto di “diretta emanazione” assume a volte contorni nebulosi che sicuramente non può essere ricondotto ad una semplice convenzione con l’Associazione datoriale o sindacale. In effetti per società di diretta emanazione si devono intendere quelle società di servizi con partecipazione diretta negli assetti societari da parte delle Associazioni di rappresentanza sindacale e datoriale. Trattasi in sintesi di società create dalla stessa  Associazione/OO.SS./Ente Bilaterale, con partecipazione di capitali, per soddisfare specifiche esigenze o necessità dei propri associati. Se fossimo nel campo del diritto pubblico potremmo parlare di società in house.

Sul tema della diretta emanazione o  della partecipazione per lo svolgimento di attività formative da parte di strutture formative delle Associazioni Sindacali dei datori di lavoro o dei lavoratori, degli Organismi paritetici e degli enti bilaterali la Regione Sicilia, ha avanzato una istanza di interpello per conoscere il parere della Commissione Interpelli prevista dall’articolo 12, comma 2, del D.Lgs. 81/2008.

La Commissione ha risposto con l’Interpello n. 14/2014 e dopo aver richiamato il dettato dell’Accordo Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 e dell’Accordo Stato-Regioni del 25 luglio 2012,  ha fornito una serie indicazioni.

In effetti la Commissione ritiene che “per esaminare se una struttura formativa di diretta emanazione delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, degli enti bilaterali e degli organismi paritetici possa costituirsi mediante un contratto di associazione in partecipazione, risulta necessario declinare brevemente i tratti di tale figura contrattuale contemplata dagli artt. 2549 ss. c.c.”.Infatti si segnala che l’associazione in partecipazione è “un contratto con cui il titolare di un’impresa (associante) attribuisce ad un lavoratore (associato) una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto che può consistere anche in una prestazione di lavoro (vedi art. 2549 c.c.). La gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante, ma l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto o a quello annuale della gestione se questa si protrae per più di un anno (art. 2552 c.c.). Il contratto può determinare quale controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare per cui l’associazione é stata contratta (art. 2552, comma 2, c.c.). Infine, salvo patto contrario, l’associato partecipa alle perdite nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite che colpiscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto (art. 2552 c.c.)”. Pertanto in questo caso “l’associato opera sul mercato attraverso l’attività dell’associante che ha il potere di dirigere l’attività senza bisogno di accordarsi con gli associati in partecipazione. Questi, per contro, possono pretendere dall’associante solo il rendiconto della sua attività per poter eventualmente effettuare dei controlli”. Quindi la Commissione  ha ritenuto “che l’associazione in partecipazione soddisfi il requisito della diretta emanazione prescritto dall’Accordo citato in premessa in quanto lo svolgimento dell’attività formativa, che costituisce l’affare del contratto, è di diretta gestione dell’associante per il tramite dell’associato”.

Pertanto l’Accordo Stato Regioni del 07/07/2016 non sembra davvero abbia apportato alcuna rivoluzione avendo solo ratificato ciò che era stato più volte chiarito dalla giurisprudenza. Quindi o il soggetto formatore, per le attività di formazione, agisce in via diretta, utilizzando anche fiscalmente il proprio codice fiscale, o agisce mediante una compartecipazione in altro soggetto con le caratteristiche stabilite dal codice civile.

L’argomento relativo all’individuazione del significato e della ratio di sindacato maggiormente e comparativamente più rappresentativo ha da lungo tempo costituito oggetto  di discussioni e contrasti  tanto nelle pronunce della giurisprudenza, ordinaria e amministrativa, quanto negli orientamenti  e nelle opinioni della dottrina.

Le rappresentanze, sia sindacali che datoriali, sono per propria natura portatrici di interessi collettivi. In sintesi hanno il compito di rappresentare un interesse comune a più individui che nel caso specifico  sono  i lavoratori e i datori di lavoro.

La rappresentanza declinata in questo modo non può essere assimilata alla rappresentanza studiata e prevista dal diritto privato. Infatti nel concetto di rappresentanza sindacale  non ha diritto di cittadinanza  il perseguimento di uno specifico interesse individuale, come nel rapporto civilistico tra rappresentante e rappresentato, ma l’individuazione di un interesse che ha necessità di essere “mediato”. Da una parte un interesse di natura generale dall’altro un interesse portato da coloro che affidano il proprio interesse alla singola organizzazione sindacale che è, appunto un interesse proprio di ogni associazione sindacale.

E’ questa la ragione per la quale si deve parlare di rappresentatività e non di rappresentanza.

L’importanza dell’individuazione dei sindacati maggiormente rappresentativi nasce dalla necessità   di avere interlocutori stabili nella predisposizione delle riforme, essendo oggettivamente impossibile rinvenire autonomamente l’interesse di ogni singolo lavoratore.

Il fatto che il legislatore ordinario non abbia mai dato piena attuazione all’art. 39 Cost. non significa che non abbia mai preso in considerazione le associazioni sindacali e la loro attività tipica (a cominciare dalla contrattazione collettiva).

Infatti nella legislazione ordinaria si trovano molte disposizioni che si occupano del sindacato e della attività sindacale, anche se non per regolare il sindacato e la sua attività, ma per promuoverne la presenza in differenti contesti come è il caso della previsione della partecipazione del sindacato ad istituzioni pubbliche (sia con ruoli prettamente consultivi, come nel caso del CNEL, sia con funzioni cogestive, come avviene per gli enti previdenziali).

In seguito all’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori nel 1970, l’intervento del legislatore ordinario è stato motivato da finalità di sostegno e promozione della presenza del sindacato nei luoghi di lavoro. Originariamente nella legislazione si parlava di “sindacati più importanti” (cfr. l. 5 gennaio 1957, n. 33), poi si è cominciato ad utilizzare la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo.

Per quanto concerne la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo, il problema sorge perché il legislatore italiano, rispetto ad altri, non indica i criteri per accertare la rappresentatività sindacale.

Essi sono, dunque, frutto della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, che fa riferimento ad una serie di indici. Si tratta di indici quantitativi( numero degli iscritti) e di indici qualitativi (ampiezza e diffusione delle strutture organizzative del sindacato, esercizio dell’attività di autotutela, consistente nell’effettiva partecipazione alla stipulazione dei contratti collettivi, nonché nella partecipazione alla trattazione e risoluzione delle controversie individuali e collettive di lavoro).

Nell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori, poiché il requisito della maggior rappresentatività era riferito, non al sindacato nel cui ambito si poteva costituire la RSA, ma alla confederazione sindacale cui esso aderiva, si aggiungeva un ulteriore criterio, quello cioè della equilibrata consistenza associativa nell’ambito di tutte le categorie che per statuto la confederazione era chiamata a rappresentare: la confederazione in tanto poteva dirsi maggiormente rappresentativa, in quanto il numero dei suoi iscritti fosse diffuso in modo equilibrato nell’ambito di tutte le associazioni che ne facevano parte.

Quindi sino al 1970 l’art.39 della costituzione è stata l’unica  norma capace di individuare le associazioni sindacali dotate di maggiore rappresentatività, mentre l’entrata  in vigore  dello Statuto dei Lavoratori e più specificatamente dell’art. 19 della legge n.300/70 , afferente la costituzione delle Rappresentanze Sindacali Aziendali , ha portato alla nascita nell’ordinamento Italiano del concetto di sindacato maggiormente rappresentativo, con l’obiettivo di attribuire a tali sindacati il potere di costituire le  rappresentanze  per poter fruire, loro tramite, dei relativi diritti e delle conseguenti prerogative. Tale condizione di sindacato maggiormente rappresentativo era riconosciuto con provvedimento del Ministero per il Lavoro facendo ricorso ad indici presuntivi e non certo a criteri oggettivi lasciando, pertanto, largo spazio a discrezionalità di ogni tipo.

Con il Protocollo d’intesa   per  disciplinare le RSU seguito dal referendum  di abrogazione parziale dell’ articolo  19 dello Statuto dei Lavoratori ed infine con  la riforma  di tale articolo  dello Statuto dei Lavoratori che ha svincolato il potere di costituire le RSA dal requisito della maggiore rappresentatività, hanno sostanzialmente ridimensionato nel nostro ordinamento l’importanza della qualificazione di sindacato maggiormente rappresentativo.

Nel corso del tempo  il concetto di rappresentatività sindacale  si  è  evoluto  soprattutto sotto la spinta di alcune disposizioni legislative nel campo  sociali  che all’espressione di “sindacati maggiormente rappresentativi” è stata operata una sostituzione con quella di “sindacati comparativamente piu’ rappresentativi “.

Il requisito della maggiore rappresentatività è richiesto dal legislatore, oltre che in riferimento allo Statuto dei lavoratori, anche ad altri  scopi diversi da quelli previsti dall’art. 19 dello Statuto nella sua originaria disposizione. Di tal guisa la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo è riuscito a sopravvivere alla riforma della norma sopra richiamata, seppur con riferimento a specifici aspetti delle relazioni sindacali.

Pertanto, si fa  riferimento per esempio ad un generico requisito di maggiore rappresentatività  nelle previsioni di legge in materia di ammortizzatori sociali , tanto che  l’art. 5 L. 164/1975  fa gravare l’obbligo di comunicare la richiesta di Cassa Integrazione sul datore, in assenza delle RSA, alle “organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia” oltre che  la durata prevedibile della contrazione o sospensione dell’attività lavorativa, e il numero di lavoratori interessati in tale procedura.

L’art.1 della legge n.223/91  afferente l’intervento della   alla cassa integrazione straordinaria,  al comma 7   estende l’obbligo di informazione anche in ordine ai criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonché alle modalità della rotazione, cui puo’ seguire l’esame congiunto.

La formula di ”sindacato comparativamente più rappresentativo”, figurante in vari provvedimenti legislativi,  è una scoperta più recente e viene utilizzata   per  la prima volta nella legge 28 dicembre 1995, n. 549.

Con tale nuova formula si voleva sconfiggere la prassi dei cd. “contratti pirata”, volti a fissare retribuzioni sensibilmente inferiori rispetto a quelle individuate dai sindacati tradizionali, restando inteso che si trattava di contratti collettivi stipulati da sindacati minori dei lavoratori e dei datori di lavoro, soprattutto in certe zone del Paese.

La formula del sindacato “comparativamente più rappresentativo” nasce dunque con finalità diverse rispetto a quelle perseguite dal criterio della “maggiore rappresentatività”, così che essa non è necessariamente in opposizione ed in collisione logica con quest’ultima, essendo stata prevista dal legislatore per risolvere un problema diverso, ossia quello dell’eventuale compresenza di più contratti collettivi.

A partire dal 1995 sono stati numerosi i casi in cui il legislatore ha utilizzato il criterio della rappresentatività comparata.

Ciò è quasi sempre avvenuto a fronte di ipotesi di cd. rinvio legale alla contrattazione collettiva, ossia nei casi in cui il legislatore ha demandato alla contrattazione collettiva il compito di regolare determinati profili della materia. Ad esempio, quando nel 1997 è stato introdotto il cd. lavoro interinale, il legislatore ha rinviato alla contrattazione collettiva per la determinazione delle fattispecie in cui la stipulazione di tali contratti doveva ritenersi ammessa attribuendo al solo contratto collettivo concluso dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative l’idoneità ad   attuare il rinvio legale.

Nel 2000, in materia di richiesta della cigs , è stato emanato il dpr n.2912. Nell’ art.2, comma 1 si legge testualmente ” 1. L’imprenditore che intende richiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale, direttamente o tramite l’associazione imprenditoriale cui aderisca o conferisca mandato, ne da’ tempestiva comunicazione alle rappresentanze sindacali unitarie o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente piu’ rappresentative operanti nella provincia”.

Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, il criterio della rappresentatività comparata viene utilizzato in maniera ancora più diffusa, essendo numerosi i rinvii operati dal legislatore dal 2003 alla contrattazione collettiva.

In verità, la nozione di “sindacato comparativamente più rappresentativo” viene usata nel d. lgs. n. 276/2003 in modo ambivalente. Infatti viene usato a volte come criterio di selezione tra una possibile pluralità di contratti collettivi (al fine di individuare l’unico applicabile), a volte come criterio di legittimazione soggettiva delle diverse associazioni sindacali.

Il significato di tale nozione si complica ancora di più  anche quando emerge come criterio selettivo della disciplina contrattuale applicabile, con la sostituzione della formula “contratti stipulati “dalle“ associazioni sindacali comparativamente più rappresentative”,con quella che prevede  “contratti collettivi stipulati “da “associazioni sindacali comparativamente più rappresentative”, avvenuta a partire dal d.lgs. n. 276/2003.

In effetti il legislatore – con la semplice sostituzione della preposizione articolata“dalle” con la preposizione semplice“da” – ha  voluto intendere che, al fine di integrare il precetto legale, là dove vi sia rinvio alla contrattazione collettiva, non è necessario il consenso unanime di tutte le associazioni sindacali “comparativamente più rappresentative”. In presenza di due contratti collettivi per lo stesso gruppo professionale il legislatore attribuisce ad uno dei due il compito di essere comparativamente più rappresentativo per quello che riguarda l’applicazione di una norma legale come ad esempio la determinazione dell’obbligo contributivo che parte dalle retribuzioni come parametro principale. La comparazione va effettuata sulla base degli indici già espressi. La comparazione si usa anche per determinare quale sindacato debba disciplinare certe norme integrando la legge esistente (es. fornitura di lavoro temporaneo, tempo parziale) mentre l’altro non potrà disporre in materia.

La comparazione deve avvenire sulla base degli indici prevalentemente elaborati circa la consistenza numerica, la diffusione territoriale e la partecipazione effettiva  alle  relazioni industriali.